sabato 16 febbraio 2013
Nonsense#183
È giunto finalmente l'attesissimo momento di mondare la moneta del teatro italiano. Siamo in un'epoca troppo tecnologicamente cinica per continuare a giocare con i soldi di plastica ed improvvisare teatrini frullati. È come se, per andare a vedere un teatro dall'alto, una persona normale, con un tenore di vita pari alla terza lettera dell'alfabeto, dovesse fare il giro dell'isolato ed entrare dal basso retro. Sarebbe un'opera classica già vista. Negli anni Sessanta, infatti, la crisi rivoluzionò il concetto futuristico di teatro pubblico fuorilegge, subendo una drastica revisione privata dei motori recitativi a scoppio gestuale, mentre le forme in cui esso si incarnava diventarono un bagaglio posticcio pesantissimo, frutto aspro di una polemica nata nel contesto culturale dell'epoca borbonica. Il nostro "teatro ufficiale monetizzato" di oggi investe tanto la struttura economica delle arene naturali, perché corre oltre i limiti organizzativi e il combustibile se lo crea da sé, quando la politica interviene con provvedimenti a dir poco infiammabili. Burocraticamente gli artisti stanno cercando le risposte a tutte quelle domande manuali che prevedevano, già agli inizi del secolo, una negazione alla presenza di attori multipli. E solo un costume da gallo con la testa all'ingiù che piega il collo, cambiando il verso della prova generale a porte chiuse, riuscirà ad emergere da quell'ingenuità fanatica che assale il primo attore protagonista, la stessa sera della luna piena a tre quarti. Accogliendo, così, a braccia aperte, i successi più bagnati e coprendo la propria pelle rossastra con una frase che rimarrà impressa a tutto il pubblico presente in sala.