sabato 22 dicembre 2012

Nonsense#127

Ho stirato una compilation di fine anno lasciando tracce di musica nelle tasche. Questo sarà il mio regalo, che però non è presente in casa. Un regalo non presente, proprio come sono abituata io. Il 31 dice che pescherò una carta e poi mi asciugherò le mani, preparerò la mente sulla sdraio, ascolterò l'acqua calda senza schiuma e non giocherò con le bugie tra secchielli e palette. Di solito io busso senza suonare perché a suonare ci pensano gli altri, intensamente. Ma talmente intensamente che le corde mi vibrano come se dicessero la verità dalle radici alle punte. I miei desideri frantumano i timpani, spaccano i tasti, cambiano i testi e tagliano il filo del microfono; si riposano sempre dentro ai cassetti più alti cosicché io faccio un fiocco alla scala e poi mi tuffo di testa, perché funziona sempre la pratica del contrario in discesa e del dritto in ascesa. L'età non c'entra. È troppo breve rispetto al colore dei capelli; dicono che non c'entra. Infatti non c'entra, ho provato a spingerla ma lo spazio tra un gradino e l'altro è troppo poco, allora sapete che tipo di soluzione ho studiato? Quella salina, perché mi è sempre piaciuto leggere il mare d'inverno. Ho scritto a mano sulla sabbia perché non mi sono mai piaciute le bambole. Poi ho scritto a computer sulla gola perché le mani stavano studiando. E infine non ho firmato il contratto, quello che accelera il battito, solo perché credo che la libertà di una penna a sfera sia qualcosa di raro e introvabile. Ero piccolina quando iniziai a nascondere i pezzettini più piccoli dei pensieri nelle soffitte delle case del quartiere. Devo ammettere che è servita questa pratica perché, in teoria, i piani alti e polverosi sono quelli più sicuri e più scuri, mentre quelli bassi rischiano di esplodere se esposti al sole per troppo tempo. Magari mi sarei ritrovata dall'altra parte del mondo, lontana da qualcuno che ben presto sarebbe arrivato a stendersi sui fili, silenzioso come l'inchiostro nero. Ho fatto bene. E a volte male. A che servono i cerotti? Solo a farsi la ceretta. Di anni ne sono passati trenta e se divido l'età per quel numero di anni il risultato non cambia. Come il numero civico o quello del telefono. Nessuno te lo cambia a distanza. Però quando poi incontri qualcuno e ti presenti (anche senza regalo), passano tre secondi e già non puoi più chiamarlo a voce. Chissà perché! Incontro-scontro-nome-memoria. Questo è l'ordine giusto, altro che scalette. Una volta ne rubai una da un palco! E fu in quel preciso istante che la mia testa decise di far accomodare delicatamente i suoi desideri nei cassetti più alti, accanto al tasto play. Così, per pura comodità intellettuale. Le scarpe riposano a terra tutti i pomeriggi e la mente vola a tempo di musica tutte le notti, tenendo il ritmo con una mano sull'altra: un equilibrio perfetto dove non serve nemmeno il sapone.