sabato 29 dicembre 2012
Nonsense#134
Leggere a letto all'etto non è poi così conveniente, in questo periodo di scarsa sacralità lessicale. Perché poi cosa racconti quando qualcuno ti porta a casa il suono bellissimo dei tuoi sensi? Ho letto un etto a letto? O lessi due etti di lesso, nel letto? Perché c'è anche il fenomeno "fame da frase cotta" da tenere in considerazione. Non si tratta solo di cultura, anche di coltura. Cultura culinaria o coltura cul'in aria? La seconda è sicuramente più diffusa e riscontra maggior successo soprattutto tra i risparmiatori di parole atipiche. Sarebbe facile costruire strutture metaforiche efficaci se solo la grammatica avesse un costo al kg inferiore di quello dei pensieri a doppio senso unico. Ma non è più così, almeno dall'ultima partita di bowling che uno scrittore, di cui non faccio il nome ma posso scriverlo: Gigi Gi, giocò nel suo ultimo libro, utilizzando lucide palle di lettere maiuscole e minuscole, pesantissime. Le lanciava in aria senza il peso delle solite e vecchie metafore o similitudini; le stesse poi rotolavano fino in fondo alle intenzioni senza perdere il proprio significato e, una volta abbattuti tutti i birilli comprese le teorie, si sgretolavano in punteggiature varie e confuse. Palle di lettere di almeno cinque kg. In aria. Poi giù. Poi basta. La fine del racconto ve la lascio immaginare, ma non inventatevela solo per il gusto di provarci. Iniziate a leggerne un etto, poi nel letto passerete a un kg, finché poi, ognuno di voi, conterà i birilli caduti sul pavimento e si renderà conto che, forse, non è mai troppo alta la spesa per le parole passate indispensabili. Meglio risparmiare sull'aria vuota e spendere il necessario per dire o per suonare il peso degli ingorghi cerebrali, soprattutto quelli nascosti, piuttosto che costruire composizioni insipide e incomprensibili, quelle di una settimana prima e vendute come fresche frasche, lucide quanto una cascata di birilli abbattuti dentro un reparto surgelati.